ENRICO PACI
Malà è mejo che maqua
Primi passi per una storia dell’emigrazione altotiberina
Il lavoro prende le mosse da un’ampia raccolta-dati sugli emigrati tifernati, avviata e mai pubblicata da Marcello Pellegrini, nipote di Venanzio Gabriotti e socio del nostro Istituto. La presente ricerca indaga il fenomeno dell’emigrazione italiana all’estero tra fine ’800 e inizio ‘900, con particolare riferimento all’Alta Valle del Tevere.
L’emigrazione come fenomeno di massa comincia dopo l’Unità d’Italia e cresce fino al 1914 quando, per lo scoppio della prima guerra mondiale, subisce un forte arresto e costringe molti emigrati a rimpatriare. In un primo momento l’Umbria risulta al penultimo posto nella statistica nazionale, ma sale al 7° negli anni 1911-13; l’iniziale assenza del fenomeno migratorio umbro è dovuto all’immobilismo che caratterizza il nostro territorio. Si offrono occasioni di apertura al mondo esterno in seguito alla costruzione della ferrovia che collega la nostra regione alla Toscana e alle Marche, e all’introduzione della leva militare. Sono queste occasioni di contatto con l’esterno a far conoscere realtà nuove e a maturare il desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita. A partire dal 1905 fino al picco del 1910 il flusso migratorio è formato da coloni e piccoli artigiani; tale fenomeno accresce l’antica abitudine di emigrare, stagionalmente, verso la Maremma toscana.
Nel periodo che riguarda il presente studio, si verifica una consistente emigrazione verso la Francia meridionale senza la mediazione di “arruolatori di manodopera”. Dal quotidiano «L’Avanti» si apprende che a Nizza si contano 5.000 emigrati provenienti da Città di Castello, una vera colonia alto-tiberina in cui si registrano momenti di vita aggregata e si concretizza una rete di assistenza socio-sanitaria. Il fenomeno di integrazione con la popolazione autoctona non è privo di ombre: i lavoratori italiani percepiscono salari più bassi e subiscono condizioni di lavoro più gravose, ma comunque più vantaggiose rispetto a quelle dei luoghi d’origine. Una caratteristica dell’emigrazione umbra, e tifernate, è l’impegno politico e sindacale; Nizza diviene mèta di un flusso di emigrazione politica, soprattutto da parte di socialisti e anarchici, a seguito della repressione del 1898.
Molti intellettuali, vicini al mondo agrario, si interrogano sulle cause e sulle conseguenze del fenomeno migratorio. È il caso di Ugo Patrizi, presidente del comizio agrario di Città di Castello, che vede nell’emigrazione la peggiore minaccia al risorgimento agricolo; critico anche il barone Franchetti nei riguardi della politica giolittiana che privilegia l’industria a discapito dell’agricoltura. Con il passare del tempo il fenomeno migratorio, percepito inizialmente come volontà di riscatto dei lavoratori dalle condizioni di miseria, viene visto in modo negativo a causa dell’emorragia demografica sempre più fuori controllo. La permanenza degli emigrati in Francia cessa con lo scoppio della prima guerra mondiale in seguito alla quale sono organizzati rientri forzosi a spese dello Stato. Una moltitudine di disoccupati, provenienti dalla zona di Nizza, manifesta per ottenere un posto di lavoro nelle opere pubbliche, attivate per l’occasione; non tutte le richieste vengono accolte e molti cercano di tornare in Francia dove avevano trasferito le attività ed era rimasta al famiglia.
Il lavoro si conclude con la pubblicazione di una consistente raccolta-dati avviata da Marcello Pellegrini; si tratta di un’ampia Tabella riguardante i tifernati nati all’estero tra il 1879 e il 1919 e successivamente registrati nel comune di Città di Castello; nella Tabella sono riportati i nomi dei genitori con la relativa professione e il luogo di residenza. Infine vengono pubblicati dei grafici che mettono a confronto l’andamento delle partenze, verso paesi stranieri, dal 1896 al 1914 su scala tifernate, regionale e nazionale.