SIMONE POLVERINI
Pellagra e follia nelle campagne altotiberine di fine Ottocento
Il lavoro di Simone Polverini è la sintesi della sua tesi di laurea in Scienze Politiche discussa presso l’Università degli Studi di Perugia nel 2007. Si tratta di uno studio inedito sulla pellagra, una malattia endemica delle campagne umbre dovuta alle misere condizioni di vita e alla carenza di una alimentazione adeguata di gran parte della popolazione.
Nel XIX secolo, nell’agricoltura umbra, prevale il tipo di conduzione della terra a mezzadria, un modello economico chiuso e dedito a soddisfare le esigenze di autoconsumo locale. Tuttavia una consistente quota dei prodotti (grano, vino, olio e carne) viene immessa nel mercato nazionale e internazionale per convertire in moneta la rendita; in tale contesto la scarsa quantità di grano disponibile per l’alimentazione viene integrata con il consumo del granturco, prodotto di minore interesse economico. Lo storico tifernate Giuseppe Amicizia ci offre una significativa testimonianza: “Difatto le famiglie, che si cibano per cinque o sei mesi dell’anno di pane di grano […] possono dirsi veramente fortunate e sono pochissime. Le altre non si cibano che di pane di granturco, almeno per nove o dieci mesi, di polenta e di qualche erba […]”.
La questione alimentare è quella che ci fa capire il legame tra il sistema economico mezzadrile e il diffondersi della follia. Un lungo dibattito, in seno alla classe medica, accompagna gli anni della diffusione del “morbo della fame”, la pellagra: nel primo stadio si manifesta con dermatiti, nel secondo con disturbi all’apparato digerente e nel terzo, e ultimo, stadio con la demenza. Il folle, nel corso dei secoli, viene emarginato e ghettizzato, o recluso, per motivi di ordine morale e di controllo sociale. Nell’Ottocento, con la nascita della psichiatria, si ha la presunzione di indirizzare il folle verso la guarigione; ma gli spazi adibiti alla degenza si trasformano in cronicari dove, per le classi più umili, l’aspetto terapeutico è assolutamente marginale.
La dimostrazione di come la follia possa essere considerata un effetto collaterale del sistema economico mezzadrile in Umbria passa attraverso il racconto delle storie degli alienati, ricostruite leggendo le cartelle cliniche compilate dai medici al momento del loro ingresso in ospedale psichiatrico. Polverini presenta quindici storie, precedute dalle relative cartelle cliniche del manicomio Santa Margherita di Perugia, in cui vengono fornite indicazioni riguardanti l’età, il sesso, lo stato civile, la professione, la condizione economica, la provenienza, la diagnosi, il numero di ingressi; nessuna cartella è accompagnata dalla fotografia del degente. Le quindici storie riguardano nove uomini e sei donne, abitanti nell’Alta Valle del Tevere in una zona compresa tra Umbertide e San Giustino; la maggior parte di essi è colpita da frenosi pellagrosa (demenza), ma anche da malinconia.
Nel 1889 il dottor Gavasei quantifica in 1.046 i pellagrosi ricoverati nell’ospedale di Città di Castello nel ventennio precedente; il dottor Luca Sediari, impegnato nel combattere la malattia, nel 1902 calcola in circa 4.000 i pellagrosi nel comune tifernate. La possibile recidività della malattia è un’ombra che accompagna, nel tormentato percorso di vita, tutti coloro che sono stati vittima di alienazione mentale e che sono stati reinseriti in una società incapace di accoglierli e di dare risposte ai loro particolari bisogni. La povertà e l’emarginazione sociale rappresentano una caratteristica discriminante per quanto riguarda la follia: una volta in manicomio, il miserabile ha pochissime speranze di poterne uscire a causa della indigenza della famiglia, che non può farsene carico.
La presentazione del Quaderno è stata effettuata il 28 febbraio 2009, in collaborazione con l’Associazione Storica dell’Alta Valle del Tevere.